Alla vigilia delle Elezioni Amministrative del 31 maggio prossimo leggo un articolo di Massimo Cacciari su "l'Espresso" del 9 aprile scorso che sembra scritto pensando alla situazione di Avigliano e non solo.
Anch'io, come Cacciari, credo che la stagione dei sindaci, iniziata più di vent'anni fa sia ormai al tramonto e con essa una certa idea di Politica.
C'è un tempo per ogni cosa!

Anch'io, come Cacciari, credo che la stagione dei sindaci, iniziata più di vent'anni fa sia ormai al tramonto e con essa una certa idea di Politica.
C'è un tempo per ogni cosa!
di Massimo Cacciari
Tra le tante albe incompiute della misera patria nostra quella delle Autonomie e della riforma federalistica è forse la più dolorosa da rammemorare - ma anche la più istruttiva. Nello sfascio della prima Repubblica e dei suoi partiti, venticinque anni orsono, fu un processo quasi fisiologico, per quanto favorito dalla riforma elettorale, quello che fece emergere una “rete” di personalità indipendenti, fortemente rappresentative a livello locale, che intendevano misurarsi concretamente nell’amministrazione dei propri territori. Non hanno mai formato partiti e neppure movimenti, ma esprimevano tutte, più o meno consapevolmente, l’unica energia, allora forse ancora viva, che ha caratterizzato la storia politica nazionale: quella delle città. E più o meno tutte comprendevano come il loro “servizio” avrebbe potuto produrre qualche risultato soltanto se si fosse combinato a un processo costituente vòlto a una riforma federalistica dello Stato. Anche coloro, come Bassolino, che appartenevano in toto alla “classe politica”, contavano allora in quanto espressione di un progetto di riorganizzazione complessiva della forma-Stato fondata sul valore delle Autonomie, sulla loro capacità di auto-governo.
Il combinato disposto tra Berlusconi, immarcescibile centralismo dei sopravvissuti apparati di partito, potenza della vecchia burocrazia ministeriale, secessionismo leghista, fece naufragare quella stagione ai suoi primi vagiti. Il nostro non è un Paese per gli Spinelli e i Trentin. Così come l’Europa non è un Continente per loro.
Crisi o no, ogni legge finanziaria, chiunque fosse al governo, iniziò a “qualificarsi” per i tagli ai Comuni, mentre, a un tempo, se ne riducevano i poteri di auto-finanziamento. Compimento simbolico di tale nefasta storia fu la sottrazione agli Enti locali della piena autonomia in materia di tassazione sugli immobili. I sindaci non seppero reagire all’andazzo. Tutti o quasi metabolizzarono rapidamente il mutamento di fase, per diventare anzitutto esponenti di questa o quella parte, ulivisti da un lato, berluscones e leghisti dall’altro. E l’Associazione dei Comuni Italiani finì così con l’arricchire la collezione nazionale degli enti inutili.
Il passaggio ha nomi e cognomi, validissimi tutti, ma è evidente che il baricentro ritorna di nuovo nella direzione nazionale del partito, o sedicente tale. Da Castellani a Chiamparino, da Primicerio a Domenici, da Sansa a Pericu e poi alla Vincenzi. Per non dire di quelli che comprendono per tempo l’aria che tira e trasformano l’attività amministrativa in trampolino di lancio alla conquista di leadership “universali”…
Tuttavia, nessuno è innocente, qui come altrove. È mancata la consapevolezza dei pericoli impliciti fin dall’inizio di quella “stagione dei sindaci”. L’irresistibile pulsione demagogico-plebiscitaria della politica italiana successiva nasce anche da lì. Nasce da lì una idea del “primato dell’esecutivo”, in quanto tendenziale eliminazione di ogni contrappeso, che è l’opposto dell’idea federalistica, dove appunto sono i poteri di città e di Regioni, che non siano catafalchi centralistici a loro volta, a dover rappresentare il fondamentale freno alle naturali tendenze “autoritarie” dei poteri centrali.
Non solo promesse mancate, quella stagione, ma anche alcune, ahimè, pienamente realizzate: personalizzazione estrema del confronto politico, programmi amministrativi fagocitati in frasi demagogiche, candidati sindaci che, crollata l’idea di una riforma di sistema, ambiscono soltanto alla scalata del cursus honorum. E che per sperarlo debbono a loro volta iscriversi alla clientela di questo o quel Capo. Pisapia non appartiene per età e cultura alla genia di costoro. Il sindaco di Milano sembra uscito pari pari dagli anni dei Castellani e dei Primicerio. Fuori tempo massimo.
Espresso
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