sabato 26 luglio 2014

"QUOTA 96"

Finalmente potrà andare in pensione il personale "Quota 96".





Accolto nella notte tra venerdì e sabato l’emendamento presentato da Manuela Ghizzoni, deputata del Pd. Finalmente il personale di “Quota 96” potrà andare in pensione dal 1° settembre di quest’anno: è stato, infatti, accolto l’emendamento Pd che sblocca una situazione in stallo da oltre due anni. Ne dà notizia la parlamentare modenese del Pd Manuela Ghizzoni che, al fianco dei lavoratori, non ha mai smesso di perseguire questo risultato di equità e giustizia.

Fra poco più di un mese, dopo aver atteso oltre due anni, il personale della scuola, bloccato nell’anno scolastico 2011/2012 dalla riforma Fornero, potrà finalmente andare in pensione. È stato, infatti, accolto in Commissione, nella notte fra venerdì e sabato, l’emendamento al dl Pubblica amministrazione che reca, come prima firma, quella della parlamentare modenese del Pd Manuela Ghizzoni, vice-presidente della Commissione Istruzione della Camera, che ha lottato per questo risultato, a fianco dei lavoratori, fin dall’insorgere della questione. Il provvedimento riguarda tutti coloro che avevano acquisito questo diritto secondo le vecchie norme pre-Fornero: in Italia 4mila persone, oltre un centinaio nella sola Modena. “Siamo molto soddisfatti del traguardo raggiunto – conferma con sollievo l’on. Ghizzoni – La riforma Fornero era la sola riforma pensionistica che non aveva tenuto conto della peculiarità di chi lavora nel mondo della scuola, personale che, per tutelare la didattica, può andare in pensione, pur avendo maturato i requisiti richiesti dalla legge, in una sola finestra annuale, quella del 1° di settembre, all’avvio di ogni nuovo anno scolastico. Ora anche chi era rimasto bloccato a scuola, pur avendo maturato i requisiti nel corso dell’anno scolastico 2011-2012, potrà finalmente andare in pensione fra poco più di un mese e lasciare il proprio posto a personale più giovane e motivato, ora precario”. Il provvedimento dovrà ora passare il vaglio della Commissione Bilancio, ma in Parlamento gode di un solido sostegno trasversale tra tutte le forze politiche presenti.
È stato, inoltre, accolto un altro emendamento a prima firma Ghizzoni, che riforma la procedura dell’abilitazione scientifica nazionale nell’Università italiana: non sarà più a bando bensì a “sportello” (per evitare l’effetto concorso e quindi valutazioni comparative) e durerà 6 anni.

Dal sito web di Manuela Ghizzoni

mercoledì 23 luglio 2014

IDEE SULLA SCUOLA

Ho letto, qualche giorno fa, un articolo molto interessante sul sito de L'Unità a firma di Mila Spicola che affronta in maniera complessiva le questioni relative al mondo della scuola.
È un lavoro molto articolato che tocca varie problematiche e fa emergere anche delle proposte concrete sulle quali è possibile aprire un confronto.
Per chi ha voglia di leggere l'intero lavoro può collegarsi a: unita.it

Anche la FLC-CGIL ha presentato un documento con le sue proposte: flcgil.it

La discussione è partita, speriamo che non vengano disperse tante energie per approdare ad un nulla di fatto.

info:    unita.it      flcgil.it

lunedì 14 luglio 2014

Chi dovrebbe essere pagato di più, a scuola?

In questi giorni si parla tanto, e molto spesso a sproposito, di scuola. Tutti si sentono in grado di dire la loro su argomenti che credono di conoscere. Questo vale, purtroppo, anche per chi è chiamato ad occuparsi di scuola nelle sedi istituzionali. L'articolo che segue si occupa del tema - valutazione e retribuzione dei docenti - in maniera chiara e condivisibile.


di Claudio Giunta

[Domenicale del Sole 24 ore, 13 luglio 2014]
La scuola e l’università italiane sono quei posti in cui si entra in ruolo tardissimo, a quaranta, cinquant’anni (dopo ogni concorso c’è il servizio TV sul tale che vince la cattedra a un giorno dalla pensione), ma una volta entrati in ruolo si è praticamente inamovibili, nel senso che per essere licenziati bisogna perlomeno uccidere, e si è quasi immoti, nel senso che la poca carriera che si fa è legata soprattutto (e a scuola esclusivamente) all’anzianità di servizio. Specie a scuola, dove gli stipendi sono più bassi e il lavoro più stressante, non è davvero una buona strategia per ottenere insegnanti zelanti, coscienziosi e aggiornati. Dopo un po’, vedendo che la virtù non viene premiata e il vizio non viene punito, uno smette di dannarsi l’anima e fa quel che deve fare, niente di più.
Il disegno di legge del governo di cui ha parlato il sottosegretario Reggi in un’intervista a Repubblica si propone di intervenire su questo e altri problemi. “Tutte le ricerche internazionali – ha detto Reggi – concordano sul fatto che gli insegnanti italiani lavorano meno, guadagnano meno e non fanno carriera. Vogliamo ribaltare le tre conclusioni”. Lascio da parte i due primi punti e mi soffermo sul terzo:fare carriera significa insomma ricevere uno stipendio più alto rispetto ad altri colleghi, e senza che questo privilegio sia legato necessariamente all’anzianità. Mi pare una cosa giusta: nella scuola ci sono insegnanti bravissimi e insegnanti pessimi, e non si vede perché i primi non dovrebbero guadagnare più dei secondi, anche molto di più. Se non è solo effetto-annuncio, il fatto che il ministero intenda operare in questo senso è un’ottima notizia. Non è invece una buona notizia quella relativa ai criteri alla luce dei quali dovrebbero essere assegnati questi fondi: “premi stipendiali fino al 30 per cento per i docenti impegnati in ruoli organizzativi (vicepresidi, docenti senior) o attività specializzate (lingue e informatica)”. Questo è infatti un errore, e non piccolo.
Gli insegnanti vanno valutati (e premiati) per come insegnano, non per quello che fanno al di fuori dell’insegnamento, “in ruoli organizzativi” o in “attività specializzate”. Quello che conta, a scuola, è la scuola: cioè quella normale, difficilissima amministrazione che si fa attraverso le lezioni, le interrogazioni, il dialogo con gli studenti. Un bravo professore di filosofia deve insegnare bene la filosofia: se lo fa, va premiato, perché formerà delle persone colte e intelligenti. Un cattivo professore di filosofia che si impegna “in ruoli organizzativi” o in “attività specializzate” (e mette su, poniamo, un assurdo corso di informatica filosofica, mentre nelle ore di lezione legge il giornale: io al liceo avevo un tipo così) resta un cattivo professore di filosofia, che non formerà delle persone colte e intelligenti (expertus loquor!), e per questa ragione non va premiato.
Questa è logica spicciola, ed è abbastanza sorprendente che al ministero pensino di dare una medaglia (e dei soldi) non a chi fa bene il suo lavoro ma a chi s’impegna a farne (chissà se bene, chissà se basta segnare il proprio nome su una lista) uno diverso. Abbastanza sorprendente, non troppo, per due ragioni. La prima è che questa idea di una scuola che fa soprattutto cose diverse dalla scuola (la settimana bianca, le lezioni di cucina, il corso di computer, il seminario sull’autostima, l’ora di autocoscienza, il sit-in contro Boko Haram), e premia gli aspiranti burocrati anziché i bravi insegnanti, è un’idea molto ben intonata allo spirito dei tempi, tempi in cui – dato che tutto è così complicato, tutto così difficile da far funzionare – sembra esserci bisogno più di bravi gestori della macchina che di persone che insegnino decentemente Galileo o Kant. La seconda ragione è che mentre l’impegno in “ruoli organizzativi” e “attività specializzate” è quantificabile (non, ripeto,qualificabile: uno può lavorare venti ore al giorno come vicepreside o insegnante di russo e fare danni in entrambi i ruoli), e dunque premiabile, decidere se un professore è o non è bravo è molto più difficile, ed è ancora più difficile provarlo.
Ma (primo punto) chi ha a che fare ogni giorno con gli studenti (è un’esperienza che al MIUR molti avranno, o avranno fatto) sa bene quanto sia importante ricevere, negli anni della formazione, delle lezioni ben fatte su Galileo o su Kant, sa anzi che quella è, in sostanza, l’unica cosa che conti veramente. Ognuno di noi è grato almeno ad un insegnante, tra quelli che ha avuto a scuola: e non credo proprio che sia l’insegnante che si era più alacremente impegnato “in ruoli organizzativi” o in “attività specializzate”. Quanto (secondo punto) a come individuare i migliori, se ne può discutere: i risultati dei test Invalsi? Ho molti dubbi. Il giudizio dei dirigenti scolastici? Ne ho ancora, ma un po’ di meno. Ispettori? Non vedo perché no: non è questo appunto il loro ruolo?
Comunque sia, è su questo problema – come valutare e premiare gli insegnanti più bravi a insegnare – che il ministro dovrebbe concentrarsi. Battere altre strade è più facile, ma non va bene.

info: www.claudiogiunta.it

martedì 1 luglio 2014

NECROLOGIO PER L’ISTITUTO D’ARTE

Da ex allievo dell'Istituto Statale d'Arte di Potenza, mi ha fatto molto piacere leggere questo articolo pubblicato lo scorso 23 giugno su "La Gazzetta del Mezzogiorno". Ho trascorso tra queste mura cinque anni fantastici. Il destino ha voluto che ci ritornassi, anni dopo, come insegnante. Adesso ha cambiato pelle e nome, ma credo che possa continuare a dare il suo contributo nel campo dell'insegnamento delle arti .......


di Anna Maria Palermo (insegnante dell’Istituto Statale d’Arte di Potenza) e Antonio Palermo (ex allievo dell’Istituto Statale d’Arte di Potenza)

Gli ultimi studenti degli Istituti d’Arte italiani, si accingono a concludere il loro percorso di studi. Gli ultimi. Perché con loro l’Istituto d’Arte muore, abolito dalla riforma Gelmini, cinque anni fa.

Ma, prima che questa gloriosa esperienza sbiadisca e si cancelli dalla memoria collettiva, forse è il caso di ripercorrere la breve e intensa vita di questa tipologia di istituzione scolastica, decisamente anomala, nel contesto generale dell’organizzazione del sistema di istruzione superiore italiano.

L’Istituto d’Arte, così come lo conosciamo, nasce negli anni ’60. Sono gli anni in cui gli studenti si mobilitano perché la scuola (e la società tutta) si liberi dall’autoritarismo reazionario, duramente selettivo e discriminante che la caratterizzava dai tempi della riforma Gentile e assuma, invece, come suo obiettivo fondamentale, la cultura e la conoscenza per tutti, piuttosto che la riproduzione di inossidabili divisioni sociali.

Sotto la spinta del movimento degli studenti, anche la scuola superiore italiana è costretta a rispondere a quel bisogno di giustizia, di uguaglianza e di riscatto sociale che impregna l’atmosfera di quegli anni: tutti i ragazzi e le ragazze, da qualsiasi classe sociale provengano, hanno il diritto di aspirare al più alto grado di istruzione. Ed è così che, con le leggi 754/69 e 692/70, viene istituito, nelle scuole con ordinamento triennale, il biennio finale che consente l’accesso a tutte le facoltà universitarie. Queste istituzioni scolastiche, in particolare gli Istituti Professionali, possono cominciare a sperare di riscattarsi dalla loro condizione di scuole di ultima serie.

In questo clima, gli Istituti Statali d’Arte si caratterizzano per un portato rivoluzionario ancora più profondo, giacché il modello culturale su cui si fonda la loro organizzazione è la scuola del Bauhaus, una scuola in cui il confine tra arte, artigianato e tecnologia, tra lavoro manuale e lavoro intellettuale sfuma, per dar corpo ad una visione unitaria del sapere, in cui la mente e il corpo, la mano e il cervello concorrono, con pari dignità, alla realizzazione del “progetto culturale”, nella sua molteplicità e nella sua pienezza. Il centro della vita scolastica è il Laboratorio, luogo in cui anche la distinzione tra docente e discente si fa più sottile ed il processo di insegnamento/apprendimento diventa scambio continuo di esperienze, saperi e conoscenze.

A Potenza, l’Istituto d’Arte nasce nel 1967 e si caratterizza subito per la sua carica antiautoritaria e antitradizionalista. Guidato dal Preside Giuseppe Antonello Leone, artista ed esuberante divulgatore ed animatore culturale, coadiuvato dalla moglie, Maria Padula, poetessa e scrittrice legata alla terra lucana, circondato da insegnanti giovanissimi, ma fortemente motivati, l’Istituto vuole diventare artefice di una vera e propria rivoluzione culturale. Gli studenti fanno proprio lo slogan del Bauhaus, “diffondere l’arte attraverso la vita”, e diventano protagonisti di un nuovo fermento culturale che in quegli anni pervade la città. Il vissuto scolastico non si esaurisce con la fine delle lezioni: la scuola resta aperta fino a tarda sera e i giovani studenti sperimentano, ricercano, costruiscono, nella propria scuola/laboratorio, idee da esportare nella società. Alunni, docenti e preside si muovono come un sol blocco, percorrono le vie della città, partecipando a tutte le iniziative artistiche che vi si organizzano. Lo stesso edificio dove ha sede l’Istituto diviene sede di esposizione dei lavori prodotti dagli allievi, aperto al pubblico. Nascono diversi laboratori/studi artistici nei “sottani” del centro storico di Potenza, dove si dipinge, si scolpisce, si progetta, si fanno piccole esperienze lavorative, arredando negozi, allestendo sale per eventi musicali. Grazie all’esperienza e alla creatività dei giovani insegnanti, si introducono strumenti e tecniche innovative, che incuriosiscono e stupiscono. La trasgressione si espande, rompendo il clima rassicurante e conservatore di questa piccola città di provincia e, naturalmente, genera la reazione dei benpensanti. Quella scuola, aperta il pomeriggio, dove gli alunni erano “liberi” e “senza regole”, dove si suonava Bob Dylan e si ballava tutti insieme, docenti e studenti, dove si organizzavano eventi culturali e dibattiti, con un Preside che apriva la sua casa agli allievi, come se fosse quella di un amico; che anche quando le altre scuole “scioperavano” o venivano occupate, non sospendeva le lezioni, perché qui si progettava e si costruiva la scuola del futuro; quella scuola doveva rientrare nella “normalità”. Alla fine del triennio, qualcuno pensò bene che il Preside Leone dovesse andar via e a nulla valsero quindici giorni di astensione dalle lezioni dei ragazzi, le quotidiane sfilate silenziose, quasi in segno di lutto, in un silenzio gridato più delle urla, ogni giorno per le vie della città.

Negli anni seguenti, l’Istituto continuò ad essere protagonista della vita artistica e culturale della città: molti di quelle alunne e di quegli alunni continuarono a lavorare nel campo dell’arte o dell’artigianato artistico e tanti diventarono insegnanti in quello stesso Istituto, continuando a mantenere vivo, con grande spirito di abnegazione, quella idea di scuola/laboratorio che l’ha caratterizzato per molto tempo ancora.

Poi le cose sono cambiate. La sfida della costruzione di una scuola che consentisse a tutte e a tutti di acquisire realmente gli strumenti culturali indispensabili per diventare cittadine e cittadini consapevoli, in grado di leggere la realtà, di comprenderla, per sapersi orientare ed essere protagonisti di cambiamenti e di futuro, è stata persa.

Una scuola di massa e di qualità avrebbe dovuto generare un profondo ripensamento su contenuti, metodologie, organizzazione della didattica, rapporto tra docenti e studenti, insomma una vera “rivoluzione culturale”.

E invece, la trasformazione della società è avvenuta in direzione contraria rispetto alle aspirazioni di uguaglianza e giustizia sociale che fino agli anni ’80 hanno animato la nostra vita collettiva. E anche i cambiamenti normativi, introdotti nella scuola dagli anni ’90 in poi, portano quel segno.

Di fronte alla dura realtà di una società che ha prodotto nuove e più profonde disuguaglianze, negazione sempre più frequente di diritti che sembravano acquisiti per sempre, una notevole regressione in quanto a mobilità sociale, quel che rimane è un profondo senso di impotenza, scetticismo, profondo impoverimento culturale.

La breve vita dell’Istituto d’Arte, in fondo, è la metafora di un sogno infranto; il suo ultimo respiro, lontana eco di un mondo nuovo che ci sembrava a portata di mano; la sua morte, esito inevitabile della sconfitta di un’idea autenticamente democratica ed egualitaria della scuola e della società.

Tratto da "La Gazzetta del Mezzogiorno" del 23/06/2014


ISTITUTO D'ARTE

Un bellissimo video storico sull'Istituto d'Arte di Lucca.
Periodi storici e situazioni ambientali diverse, ma atmosfere e passioni identiche.