martedì 1 luglio 2014

NECROLOGIO PER L’ISTITUTO D’ARTE

Da ex allievo dell'Istituto Statale d'Arte di Potenza, mi ha fatto molto piacere leggere questo articolo pubblicato lo scorso 23 giugno su "La Gazzetta del Mezzogiorno". Ho trascorso tra queste mura cinque anni fantastici. Il destino ha voluto che ci ritornassi, anni dopo, come insegnante. Adesso ha cambiato pelle e nome, ma credo che possa continuare a dare il suo contributo nel campo dell'insegnamento delle arti .......


di Anna Maria Palermo (insegnante dell’Istituto Statale d’Arte di Potenza) e Antonio Palermo (ex allievo dell’Istituto Statale d’Arte di Potenza)

Gli ultimi studenti degli Istituti d’Arte italiani, si accingono a concludere il loro percorso di studi. Gli ultimi. Perché con loro l’Istituto d’Arte muore, abolito dalla riforma Gelmini, cinque anni fa.

Ma, prima che questa gloriosa esperienza sbiadisca e si cancelli dalla memoria collettiva, forse è il caso di ripercorrere la breve e intensa vita di questa tipologia di istituzione scolastica, decisamente anomala, nel contesto generale dell’organizzazione del sistema di istruzione superiore italiano.

L’Istituto d’Arte, così come lo conosciamo, nasce negli anni ’60. Sono gli anni in cui gli studenti si mobilitano perché la scuola (e la società tutta) si liberi dall’autoritarismo reazionario, duramente selettivo e discriminante che la caratterizzava dai tempi della riforma Gentile e assuma, invece, come suo obiettivo fondamentale, la cultura e la conoscenza per tutti, piuttosto che la riproduzione di inossidabili divisioni sociali.

Sotto la spinta del movimento degli studenti, anche la scuola superiore italiana è costretta a rispondere a quel bisogno di giustizia, di uguaglianza e di riscatto sociale che impregna l’atmosfera di quegli anni: tutti i ragazzi e le ragazze, da qualsiasi classe sociale provengano, hanno il diritto di aspirare al più alto grado di istruzione. Ed è così che, con le leggi 754/69 e 692/70, viene istituito, nelle scuole con ordinamento triennale, il biennio finale che consente l’accesso a tutte le facoltà universitarie. Queste istituzioni scolastiche, in particolare gli Istituti Professionali, possono cominciare a sperare di riscattarsi dalla loro condizione di scuole di ultima serie.

In questo clima, gli Istituti Statali d’Arte si caratterizzano per un portato rivoluzionario ancora più profondo, giacché il modello culturale su cui si fonda la loro organizzazione è la scuola del Bauhaus, una scuola in cui il confine tra arte, artigianato e tecnologia, tra lavoro manuale e lavoro intellettuale sfuma, per dar corpo ad una visione unitaria del sapere, in cui la mente e il corpo, la mano e il cervello concorrono, con pari dignità, alla realizzazione del “progetto culturale”, nella sua molteplicità e nella sua pienezza. Il centro della vita scolastica è il Laboratorio, luogo in cui anche la distinzione tra docente e discente si fa più sottile ed il processo di insegnamento/apprendimento diventa scambio continuo di esperienze, saperi e conoscenze.

A Potenza, l’Istituto d’Arte nasce nel 1967 e si caratterizza subito per la sua carica antiautoritaria e antitradizionalista. Guidato dal Preside Giuseppe Antonello Leone, artista ed esuberante divulgatore ed animatore culturale, coadiuvato dalla moglie, Maria Padula, poetessa e scrittrice legata alla terra lucana, circondato da insegnanti giovanissimi, ma fortemente motivati, l’Istituto vuole diventare artefice di una vera e propria rivoluzione culturale. Gli studenti fanno proprio lo slogan del Bauhaus, “diffondere l’arte attraverso la vita”, e diventano protagonisti di un nuovo fermento culturale che in quegli anni pervade la città. Il vissuto scolastico non si esaurisce con la fine delle lezioni: la scuola resta aperta fino a tarda sera e i giovani studenti sperimentano, ricercano, costruiscono, nella propria scuola/laboratorio, idee da esportare nella società. Alunni, docenti e preside si muovono come un sol blocco, percorrono le vie della città, partecipando a tutte le iniziative artistiche che vi si organizzano. Lo stesso edificio dove ha sede l’Istituto diviene sede di esposizione dei lavori prodotti dagli allievi, aperto al pubblico. Nascono diversi laboratori/studi artistici nei “sottani” del centro storico di Potenza, dove si dipinge, si scolpisce, si progetta, si fanno piccole esperienze lavorative, arredando negozi, allestendo sale per eventi musicali. Grazie all’esperienza e alla creatività dei giovani insegnanti, si introducono strumenti e tecniche innovative, che incuriosiscono e stupiscono. La trasgressione si espande, rompendo il clima rassicurante e conservatore di questa piccola città di provincia e, naturalmente, genera la reazione dei benpensanti. Quella scuola, aperta il pomeriggio, dove gli alunni erano “liberi” e “senza regole”, dove si suonava Bob Dylan e si ballava tutti insieme, docenti e studenti, dove si organizzavano eventi culturali e dibattiti, con un Preside che apriva la sua casa agli allievi, come se fosse quella di un amico; che anche quando le altre scuole “scioperavano” o venivano occupate, non sospendeva le lezioni, perché qui si progettava e si costruiva la scuola del futuro; quella scuola doveva rientrare nella “normalità”. Alla fine del triennio, qualcuno pensò bene che il Preside Leone dovesse andar via e a nulla valsero quindici giorni di astensione dalle lezioni dei ragazzi, le quotidiane sfilate silenziose, quasi in segno di lutto, in un silenzio gridato più delle urla, ogni giorno per le vie della città.

Negli anni seguenti, l’Istituto continuò ad essere protagonista della vita artistica e culturale della città: molti di quelle alunne e di quegli alunni continuarono a lavorare nel campo dell’arte o dell’artigianato artistico e tanti diventarono insegnanti in quello stesso Istituto, continuando a mantenere vivo, con grande spirito di abnegazione, quella idea di scuola/laboratorio che l’ha caratterizzato per molto tempo ancora.

Poi le cose sono cambiate. La sfida della costruzione di una scuola che consentisse a tutte e a tutti di acquisire realmente gli strumenti culturali indispensabili per diventare cittadine e cittadini consapevoli, in grado di leggere la realtà, di comprenderla, per sapersi orientare ed essere protagonisti di cambiamenti e di futuro, è stata persa.

Una scuola di massa e di qualità avrebbe dovuto generare un profondo ripensamento su contenuti, metodologie, organizzazione della didattica, rapporto tra docenti e studenti, insomma una vera “rivoluzione culturale”.

E invece, la trasformazione della società è avvenuta in direzione contraria rispetto alle aspirazioni di uguaglianza e giustizia sociale che fino agli anni ’80 hanno animato la nostra vita collettiva. E anche i cambiamenti normativi, introdotti nella scuola dagli anni ’90 in poi, portano quel segno.

Di fronte alla dura realtà di una società che ha prodotto nuove e più profonde disuguaglianze, negazione sempre più frequente di diritti che sembravano acquisiti per sempre, una notevole regressione in quanto a mobilità sociale, quel che rimane è un profondo senso di impotenza, scetticismo, profondo impoverimento culturale.

La breve vita dell’Istituto d’Arte, in fondo, è la metafora di un sogno infranto; il suo ultimo respiro, lontana eco di un mondo nuovo che ci sembrava a portata di mano; la sua morte, esito inevitabile della sconfitta di un’idea autenticamente democratica ed egualitaria della scuola e della società.

Tratto da "La Gazzetta del Mezzogiorno" del 23/06/2014


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